La Conchiglia di Anataj
Centinaia, migliaia di verste... Questa Santa Russia prerivoluzionaria evocata da Carlo Sgorlon nella Conchiglia di Anataj ha la smisurata grandezza di un mito, di un corrotto paradiso perduto ovattato di neve. La sua gente, siberiani, kighisi, tartari si abbandona soltanto al respiro della stagioni, all'intirizzito sbadiglio del lunghissimo invernodominato dalla centralizzante remota figura dello Zar, presente attraverso i suoi prezzolati funzionari e sbiadita come una logora icona. Sgorlon, dopo la morte di Dino Buzzati, è rimasto forse il più "nordico" dei narratori italiani, capace di resuscitare una Russia che per la sua indomabile verità e precisione sembra sbocciare dalle pagine di un Tolstoj nostrano. Però il mito non è soltanto quello del paese sterminato, ma, vera e propria balena bianca, quello della titanica ferrovia transiberiana, sanguinosa e magica ferita nelle innevate spoglie dei villaggi e della taiga, lunga cicatrice infetta di un dubbio progresso, dalla quale sgorga il sangue di decine di migliaia di operai, tra cui molti friulani che laggiù, come nelle altre parti del mondo, sono arrivati come una testarda legione di fabbri, sterratori, falegnami, scalpellini. Storia, questa, di una diaspora non meno dolente di quella ebraica. Lo scrittore cuce attorno a un pugno di suoi conterranei, da Valeriano (che narra la vicenda), a Silvestro, a Bastiano, ad Arrigo, a Marco, l'abito di una tormentatissima avventura in paesaggi di straordinaria bellezza, animati da poderose e insieme sfaccettate figure del novantenne Anataj, ex predone e cacciatore, in cui pare riassumersi e capitalizzarsi la ricchezza interiore di un popolo intrecciato di stirpi diverse. E inquiete e travolgenti sono le vicende d'amore suscitate da creature come l'insaziata e zingaresca Ajdym. In questo romanzo della sua perfetta maturità, Carlo Sgorlon impagina ancora una volta il suo acceso gusto di cartomante che in fanti, cavallieri e re cerca il senso più profondo del destino comune, così come i suoi frastornati eroi, nella scommessa di una locomotiva che sembra non arrivare mai su quegli interminabili binari, come nella buzzatiana attesa dei tartari, giocano le più ricche ragioni della loro misteriosa vita.