Il ritorno alla natura
Gli intellettuali friulani sono piuttosto restii a riconoscersi ed a riconoscere la propria patria nel ciclo epico di Sgorlon. Però sono moltissimi in Italia ad essersi fatta un’idea del Friuli, che non hanno mai visto, proprio attraverso la narrativa di Sgorlon, ormai diffusa in circa tre milioni di volumi. L’opera di Sgorlon, così radicalmente controcorrente, si presta a interpretazioni opposte. Chi è legato a Una cultura decadentistica, laica, che considera l’uomo il centro e quasi il creatore dell’universo, chi ritiene che l’evoluzione storica sia l’unico criterio di verità, respinge con una sorta di fastidio l’opera di Sgorlon, giudicandola conservatrice, antistorica, estranea al gusto contemporaneo ed ai fatti dell’avanguardia letteraria.
Ogni cosa in lui (la struttura epica, la semplicità e naturalità della scrittura, il carattere sacrale e religioso delle tonalità) sembra appartenere a un mondo dissolto.
Ma chi ha elaborato questo giudizio sullo Scrittore. Ignorato perlopiù dalla cultura egemone e progressista, non tiene conto di fatti di importanza grandiosa. Il primo e più sostanzioso è che Sgorlon è uno dei pochissimi scrittori, sia in Italia che in Europa e nel mondo occidentale, che abbia veramente fatto i conti fino in fondo con il problema dei problemi del nostro tempo: ossia quello della conservazione della natura e della sopravvivenza della razza umana e della storia.
Sgorlon è, sì, antistoricista, perché lo storicismo moderno ha eliminato la natura, la metafisica, il rapporto tra l’uomo e il cosmo dai suoi interessi e dalla sua indagine. Ma il problema ecologico, enorme, incombente, inevitabile, pretende un approccio diverso con la natura. L’uomo di oggi. secondo lo scrittore friulano, deve imparare di nuovo che egli non è se non una creatura della vita e delle forze cosmiche. Deve ridimensionare radicalmente la sua superbia tecnolatrica e il suo consumismo forsennato. Deve imparare a convivere con la natura senza distruggerla, perché fare questo vuol dire creare le premesse della propria fine.
L’uomo moderno deve imparare a recuperare alcune virtù tipiche della civiltà contadina: la parsimonia, il rispetto della natura e la concezione religiosa, o quanto meno panteistica di essa. Ecco alcune buone ragioni per cui tornare a parlare della civiltà contadina non è affatto anacronistico. La civiltà industriale è distruttiva, demolitrice, dissacratrice. Per questo Sgorlon la ignora o la racconta senza simpatia. Egli, pur nei suoi toni pacati, è spesso anche un narratore da “ultima spiaggia”. Se vogliamo salvare la civiltà umana la storia, la natura e la vita stessa, abbiamo vastissime ragioni per recuperare alcuni valori e certe forme tipiche della civiltà contadina. Questo insieme di ragioni rende attualissima e carica di futuro l’opera di Sgorlon, anche volendola valutare con un metro esclusivamente storicistico.
Tornare al gusto di raccontare storie, all’etica, alla natura e ai suoi archetipi, significa dunque non essere superato dai tempi, ma al contrario reagire nel modo giusto alla necessità più incombente della nostra epoca. Fuori della storia, o almeno gravemente miopi, sono piuttosto coloro che con la propria cultura edonistica, consumistica e antropocentrica, continuano a favorire la corsa della civiltà verso l’autodistruzione e quella del pensiero verso il nichilismo totale. Il nulla è qualcosa che la cultura contemporanea corteggia sempre più spesso e il pericolo è che finisca con l’esserne divorata
La perdita del sentimento della natura e di appartenenza all’Essere ha condotto l’uomo moderno alla perdita del gusto di vivere e dello slancio vitale. Egli sente il mondo come qualcosa di estraneo a sé, che genera nausea, noia e rifiuto. Gli uomini di fronte ad esso provano soltanto sentimenti negativi. Per ritrovare il piacere di vivere l’uomo deve recuperare l’antico sentimento di appartenenza alla natura e alla vita. Deve sentirsi di nuovo parte di tutto, di cui egli è soltanto un piccolo anello. Questo è il senso profondo di uno dei libri sgorloniani più ricchi di spessore ideologico, Il regno dell’uomo (1994).
Questa poetica e questa filosofia del vivere trovano larghissimo spazio nell’ombra di Sgorlon specie la più recente L’ultima Valle (1987), La fontana di Lorena (1990), Il patriarcato della luna (1991), 11 costruttore (1995) sono una quadrilogia, in cui i temi ecologici trovano ampio sviluppo. Tutti e quattro sono sostenuti dalla convinzione intima che l’uomo è in rapporto strettissimo con la natura e non può continuare a cementizzarla e a distruggerla a suo talento.
Chiave del nuovo rapporto dell’uomo con la natura è il sentimento della terrestrità, ossia di essere figli della terra e ad essa legati in mille modi. Protagonista della terrestrità sgorloniana è soprattutto la donna, essere più intuitivo dell’uomo e quindi più legato alle energie misteriose della vita, della natura e della terra.
Per Sgorlon il ritorno alla natura è in rapporto stretto con l’ecologia della mente. Secondo lui nulla è più contraddittorio degli scrittori che accolgono i temi ecologici, ma li esprimono con artifici linguistici ricercati e con stratificazioni verbali senza misura. Il ritorno alla natura e alla parsimonia significa e richiama, in termini chiaramente intuibili, anche la semplicità del linguaggio e l’immediatezza dell’espressione. Il rifiuto del “pastiche” linguistico, che deriva dalle poetiche d’avanguardia, è quindi un approdo naturale di tutta la poetica sgorloniana, complessa, ma perfettamente concatenata e strutturata. Per Sgorlon la lingua non è affatto invecchiata, quindi non ha bisogno di essere rielaborata, se non per quel tanto che è richiesto dalla nascita di nuovi oggetti, nuove tecniche o nuovi concetti.
Per il poeta la lingua, come la realtà, è sempre fresca, immediata, perché provoca emozioni sempre nuove. La lingua, come la vita, ricomincia eternamente dal principio in ognuno di noi, in ogni uomo che ripete l’eterna parabola vitale ed esistenziale di tutti coloro che l’ hanno preceduto. Solo chi si allontana dalla natura e dall’essere, chi entra in conflitto con le sue stesse origini, precipita nel gorgo di una aridità e di una senilità pericolose: quelle che oggi, appunto, minacciano la cultura e la letteratura, un po’ in tutto l’ occidente.