Il patriarcato della luna
Sgorlon definisce questo suo nuovo romanzo fantasioso, anzi aggiunge che è il più fantasioso di quanti ne ha pubblicati finora, dedicati sempre al gusto e all'amore della favola umana. E' una definizione restrittiva, di esemplare modestia perchè il libro è qualcosa di più di un seguito di invenzioni, investendo territori di grande serietà e poggiando su un campo di giuoco senza confini.
Si vuole dire che lo scrittore ha chiamato a raccolta nel suo patriarcato tutto il mondo di ieri e di oggi. Accanto ai veri protagonisti Sgorlon ha fatto muovere gente di tutto il mondo e di tutti i tempi, senza dimenticare se stesso, i suoi, la grande famiglia friulana e molti personaggi storici o soltanto comparse dell'attualità. Tanta ricchezza d'evocazione sta a indicare il proposito primo del racconto; fare un esame di coscienza generale, indicando le colpe e i responsabili della catastrofe, nata dal tradimento dell'antico principio che ha regolato fino a ieri la nostra vita. Grossolanamente si potrebbe dire che è un racconto ecologico, un documento di denuncia della progressiva corruzione della civiltà, ma le cose non stanno così. Lo scrittore giuocando con rara abilità, rincorrendo sempre nuovi motivi, ha saputo cogliere al fondo di questo infinito caleidoscopio una morale di benaltro valore: una morale quanto mai aperta e libera nello stesso tempo rigida e severa volta a difendere "se è ancora possibile" l'integrità dell'uomo. Il libro non è un pamphlet, così come non è neppure un divertissement; se ho visto giusto, è una favola intrisa di realtà e di verità quotidiane. Chi racconta sembra sfruttare al massimo un regime di corrispondenze e di rimandi, per cui un fatto o una semplice parola finisce per inserirsi in un mosaico vivo, in continua trasformazione. Si ha l'impressione che, guardando il mondo dal suo eterno patriarcato, abbia inteso dimostrarci che le nostre giornate sono fatte di mille frantumi, dove gli uomini, salvo pochi vocati, vanno senza una guida, senza più nessuna memoria di un codice. Una lunga favola, dunque, che potrebbe perpetuarsi, ripetersi nella luce incerta e ingannatrice delle apparenze. Una sola verità anima il racconto, il pericolo della distruzione assoluta e, per contro, il bisogno di accettare la prova della coscienza o almeno dell'intelligenza e prima ancora, pur restando nel Patriarcato della luna, non accontentarsi delle favole minori o minime di tutti i giorni per cui l'uomo è un abito, un nome o soltanto l'eco di una condizione disumanizzata.