Lo stambecco bianco
Negli anni della guerra civile libanese, il giovane Mansùr fugge in Italia per sottrarsi al conflitto che sta dilaniando il suo paese e per ritrovare Walid, che lo ha preceduto nella ricerca di un lavoro e di un destino migliore. Qui, lo attendono la delusione e l'amarezza di una perdita dolorosa (Walid è stato ucciso dal rigido inverno alpino mentre tentava di raggiungere la Svizzera), alla quale però Mansùr sa opporre una straordinaria adattabilità alle situazioni e una voglia irrefrenabile di sopravvivere e di cavarsela. Ospitato da Gregorio, un uomo saggio e solitario che gli fa da padre, ed entrato nelle simpatie di Ines, una ricca vedova, Mansùr riesce a integrarsi prfettamente nel mondo al quale è approdato. Anzi, con il loro aiuto, riesce a sventare la minaccia della costruzione di una strada in montagna - infrastruttura indispensabile per i piani di speculazione edilizia di un gruppo di affaristi -, contribuendo a preservare quell'ambiente a lui così estraneo, eppure così affascinante nella sua maestà, nella sua purezza e nelle sue leggende, come quella misteriosa dello stambecco bianco.
Temi di bruciante attualità, come i rapporti fra mondo mussulmano e mondo occidentale, o il problema della salvaguardia della natura, trovano in questo romanzo il passo e il ritmo dell'epica e del mito; un passo e un ritmo che confermano ed esaltano la più autentica e felice vena di uno scrittore capace di trarre dal prediletto canto della civiltà contadina il senso profondo di un'etica integrale, forse dimenticata o forse mai conosciuta dai valori vincenti del mondo occidentale.