L'ultima valle
Nelle Alpi orientali, difesa da due impervie gole e da una cerchia di turrite montagne, attraversata da precipiti torrenti tra i quali si incastonano le secolari case di Cassiano, si stende una incontaminata valle di prati, di malghe e di abetaie. E' un patriarcale regno di rocce, di funghi e di lamponi, i cui abitanti, tagliapietre e arrotini migranti nei mesi estivi, ridiventano, negli esiliati mesi invernali, intagliatori di legno. E' un'ultima valle di solitudini esclusive, dove la indecifrabile fatica del vivere è scandita da immutati gesti e dove, col ritmo delle stagioni, si rinnova un magico connubio pagano e cristiano che convoglia intorno alla chiesa e al campanile le allegre streghe lavatrici e gli spiriti monelli del bosco. Dalla pianura, un giorno, salgono reticenti e instancabili vessilliferi del progresso: misurano, contrattano, costruiscono; e nel giro di pochi anni, con l'ingenuo consenso dei valligiani, la civiltà industriale cancella il millenario paesaggio. Vengono deviati i torrenti e traforati i monti, una strada d'asfalto incorona la valle, un lago artificiale sommerge le antiche case e gli abitanti sono trasferiti in nuove, anonime abitazioni: tutto questo per poter costruire a uno sbocco della valle una diga, gigantesca e superba cattedrale moderna. Mentre la paziente e indifesa natura sopporta tanta manomissione, Carlo Sgorlon si china sui valligiani e con stupita pietà che ne racconta, insieme alle commosse, aspre vicende di dolori e di amori, la metamorfosi obbligata, la violenza e l'incantamento che essi devono subire per una illusione, subitamente elargita, di progresso e felicità. Narratore di straordinaria sapienza, di cadenzati soprassalti lirico-biblici, Sgorlon disegna, al calore di una ormai inconfondibile poetica, volti e personaggi, situazioni e sentimenti di profonda verità. Il lettore non farà fatica a sovrapporre l'immane tragedia collocata ad apocalittico sigillo del romanzo, alla ancora viva memoria del disastro di Longarone. Ma la comparizione rimane quasi del tutto casuale, giacchè lo scrittore racconta un apologo universale, esulando da ogni volontà di inchiesta o di requisitoria. La sua interrogazione è ben più alta e disperata: Dio e l'ondata assassina possono stare insieme dentro la cornice dell'universo? Quale significato ha la marea di dolore che ci circonda e ci assale, nel provvidenziale disegno del destino umano? Più che nei libri precedenti, Sgorlon proclama qui la sua ideologia ecologica, i suoi preoccupati sospetti verso l'eccesso di industrializzazione, il suo incessante appello a riannodare i salvifici legami con la natura e le sue inviolabili leggi. E ancora una volta egli pare obbedire ad un segreto ordine che lo vuole sentinella della residua innocenza e sacralità della vita.
Domenico Porzio